Campi di battaglia

Collettiva

7 GIUGNO – 10 SETTEMBRE 2019

«Campi di Battaglia? Una mostra sui maestri del fotogiornalismo di guerra?» Questo è quello che ci ha chiesto la prima persona a cui abbiamo parlato dell’esposizione che ha occupato i nostri spazi durante l’estate 2019.
Domanda forse legittima. Come quella che molti si porranno leggendo la lista degli autori. Cosa c’entra, per esempio, un’artista come Vania Comoretti, che dipinge quasi esclusivamente ritratti, con una mostra che parla di battaglie e di guerra? O un fotografo come Olivo Barbieri con le sue vedute urbane?
Probabilmente nulla! E lo stesso vale anche per la maggior parte delle opere esposte in mostra, se continuiamo a pensare alla guerra unicamente nel senso più tradizionale e consueto del termine, ovvero come scontro tra eserciti regolari, che si affrontano per ottenere una vittoria militare sul proprio avversario.
Ebbene, non è solo questo l’oggetto dell’esposizione.

Molto più interessante ci sembra invece il riferimento a una serie di considerazioni sviluppate da Michel
Foucault nell’ambito dei suoi studi sui rapporti di potere.
Intorno alla metà degli anni ’70, il filosofo francese teorizza infatti una nuova comprensione della guerra, intesa come lente di lettura della società. Ogni relazione – sia essa personale, politica, sociale –deve essere misurata in termini conflittuali.
Più precisamente, essa si esplicita in un rapporto di forze sempre asimmetriche che risultano indagabili in
termini di guerra. Una battaglia continua attraversa dunque la società, la quale ci rende gli uni i necessari
avversari degli altri, in un rapporto che non è mai statico, ma sempre costruttivamente dinamico, imprevedibile e per ciò stesso modificabile. Ciò significa che non è più possibile fare riferimento a un unico spazio riservato alla guerra; sono invece molteplici i campi che coinvolgono e mettono in forma la pluralità dei conflitti.

L’arte contemporanea – almeno quella più stimolante – non fa eccezione nel collocarsi all’interno di questa
cornice. Cerca i confini dei propri oggetti di analisi e ne pratica la messa in discussione: raccoglie la sfida di rendere visibili le relazioni conflittuali nascoste sotto pacificazioni apparenti. È proprio in questo modo infatti che l’arte impone le proprie questioni. Essa apre a riflessioni, persino a inquietudini, che hanno un carattere necessario per chiunque non riesca ad accontentarsi della propria posizione nei vari campi di battaglia.

Le opere esposte in questa mostra parlano di questo. Ogni fotografia, ogni dipinto, ogni scultura è per gli artisti uno strumento di indagine, un campo di battaglia per l’appunto all’interno del quale raccontare i conflitti quotidiani che compongono e creano il mondo in cui viviamo.

Francesco Arena (Genova, 1966) espone l’installazione On My Skin. Una grande stampa fotografica diventa il pavimento di una delle sale della galleria. La figura di un uomo anziano, completamente nudo, ci parla della lotta di ciascuno di noi con il proprio corpo e con i segni che il tempo accumula su di esso.

La stessa riflessione compiono i ritratti ad acquerello di Vania Comoretti (Udine, 1975) nei quali gli occhi raccontano l’inquietudine dell’essere umano in rapporto all’involucro fragile che lo contiene.

Le opere di Giacomo Costa (Firenze, 1970) indagano il continuo conflitto fra l’azione umana e la “reazione della natura”. Immagini di una realtà distopica. Uno scontro continuo che non prevede un punto di equilibrio.

Olivo Barbieri (Carpi, 1954) nei suoi site specific racconta la città contemporanea svelandoci una sorta di palcoscenico entro il quale si agita e affanna una troupe di attori perennemente in guerra gli uni con gli altri.

I personaggi che abitano le fotografie di Matteo Basilé (Roma, 1974) e Ramona Zordini (Brescia, 1983) combattono contro un ideale estetico e morale che esclude chiunque si discosti dai canoni stabiliti dalla maggioranza.

Protagonista dello straordinario dipinto di Davide La Rocca (Catania, 1970) La preghiera della sera è la famiglia, luogo principe in cui le parti più intime di ciascuno di noi si esprimono e si scontrano.

La periferia urbana, con le tensioni sociali e culturali che essa esprime, è invece il soggetto delle intense opere della coppia di artisti torinesi Botto&Bruno (Torino, 1963/1966), di Alessandro Papetti (Milano, 1958) e di Andrea Chiesi (Modena, 1966).

L’aereo da ricognizione di Luca Pignatelli (Milano, 1962), dipinto su un telone segnato dalle ferite della guerra, le trincee del primo conflitto mondiale fotografate da Paola De Pietri (Reggio Emilia, 1960), i dittatori ritratti da Gian Marco Montesano (Torino, 1949), ci riportano invece a battaglie combattute con le armi tradizionali da eserciti contrapposti.

Corrado Zeni (Genova, 1967) allarga il campo di osservazione al mondo intero con le sue mappe attraversate da personaggi che si scontrano senza incontrarsi.

Chiude la mostra un’intensa opera di Joel Peter Witkin (New York, 1939) che rappresenta l’inconscio umano costretto a confrontarsi con la guerra più difficile: quella che ciascuno di noi combatte per capire e accettare se stesso.